#angieinvaligia

27 Ottobre 2016, giovedì

In una tazzina di caffè…

In passato, quando le case erano fredde, le persone di rifugiavano nei caffè. Per trovare ristoro, per scaldarsi. Per stare in compagnia, per condividere un momento.

E’ stato così anche per me, arrivata a Trieste. Il cielo era carico di nuvole nere (ma avevano un fascino incredibile quei nuvoloni neri sul mare in tempesta) ed io mi sono rifugiata nel porto vecchio e ho trovato ristoro.

Ad accogliermi Triestespresso, la più importante fiera specializzata internazionale legata all’intera filiera del caffè espresso: dal chicco verde e torrefatto, ai macchinari per la torrefazione, ai produttori di porcellane, ai servizi per le imprese.

200 espositori provenienti da 20 Paesi del mondo, giornalisti, baristi, buyers tutti insieme per condividere una passione comune e conoscersi, stringere accordi, creare business ed economia.

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Triestespresso è espressione di commercio, di industria, di cultura ma è anche conoscenza. Durante i tre giorni di manifestazione ci sono stati workshop formativi e approfondimenti tematici riservati a baristi, operatori di settore e torrefattori. Sono state giornate dal punto di vista formativo, essenziali.

Ho imparato tanto attorno ad un mondo di cui oggi si sa poco. Lo dicono gli esperti, lo urlano gli “addetti alla tazzina”. C’è bisogno di educare al caffè. C’è molto più clamore attorno al vino, all’olio, all’aceto. Che intorno al caffè. Eppure, se ci pensiamo, è la prima cosa che beviamo

appena svegli, è quella magica coccola dopo ogni pranzo, è la bevanda che desideriamo per ritemprarsi, per staccare la spina. Il caffè da vigore e coraggio. Unisce persone attorno ad un tavolo e facilita il dialogo. Ma soprattutto da piacere. Un piacere che permane anche dopo aver bevuto il caffè.

 

Da storica dell’alimentazione, appassionata dell’origine degli ingredienti, proverò a raccontarvi quello che ho appreso e che non conoscevo.

L’affermazione del caffè in Europa è legata ad un avvenimento storico: la liberazione di Vienna dall’assedio dei turchi nel 1683. Durante la ritirata le truppe turche abbandonarono cannoni ma anche 500 sacchi di caffè (si pensava fosse mangime per i cammelli quindi vendettero gli interi sacchi, per pochi soldi ad un certo Franz G. Kolschitzky che conosceva benissimo il contenuto). Il nobile polacco aprì a Vienna una bottega del caffè trasformando il caffè alla turca, non gradito ai viennesi in una bevanda ben più dolce e filtrata, con l’aggiunta di miele e panna montata: nacque così il caffè viennese.

Le botteghe conobbero nei secoli successivi in tutta Europa un grande successo, perché diventarono luogo di stimolo e di risveglio intellettuale per artisti, commercianti e poeti. All’inizio del XIX sec., con la nascita delle prime torrefazioni, si semplificò il lavoro delle botteghe sollevandole dall’incombenza della tostatura del caffè. Grazie alle torrefazioni vennero create le prime miscele, non solo per garantire un’uniformità di gusto e prezzo, ma anche per rendere il caffè il più possibile “speciale”.

 

Dal 2000, il caffè è la prima derrata agricola commerciale al mondo. Ma andiamo più nel dettaglio. Cosa sapete del caffè?

Il caffè che noi beviamo e che conosciamo come bevanda è una pianta. Un arbusto sempreverde di nome Coffea. Le specie più interessanti e maggiormente coltivate sono due: l’Arabica e la Robusta.

Una delle caratteristiche di questa pianta è che le condizioni climatiche che ne rendono possibile la crescita, sono delineate nella fascia Tropico Equatoriale dove la maggior parte dei paesi la coltiva. La pianta necessita di climi miti con piogge costanti. Le piante di Arabica prosperano fino ai 2000 mt mentre quelle della Robusta, più resistenti al calore della pianura, attorno agli 800 mt, sopportano facilmente anche temperature meno miti: per questo motivo vengono appunto chiamate “Robusta”. Un chicco di caffè (verde) germina dopo due mesi circa, ancora due mesi e compaiono le prime foglie, mentre per i primi frutti che saranno preceduti da splendide fioriture (Il fiore della coffea è bianco e ricorda il gelsomino con sentori di limone), bisogna attendere almeno 4-5 anni.

All’interno dei frutti (che ricordano le ciliegie) troviamo due semi, avvolti in una membrana. I semi sono i chicchi di caffè. Quelli dell’Arabica sono allungati e ovali, quelli della Robusta sono più piccoli e con un taglio interno dritto. L’Arabica è superiore qualitativamente, ha un’aroma più dolce, ricco ed equilibrato  rispetto alla Robusta che ha un gusto più forte e corposo. Inoltre nella robusta il contenuto di caffeina è nettamente maggiore.

I chicchi di caffè non destinati al consumo interno nei paesi di provenienza, intraprendono lunghi viaggi, confezionati in sacchi di juta dal peso di 60 kg cadauno e marchiati con una sorta di carta d’identità fino ad arrivare nei porti di tutto il mondo.

In Italia, il porto di Trieste ha giocato un ruolo fondamentale per il commercio del caffè. Non a caso Trieste è soprannominata oltre alla città della Barcolana anche la città del Caffè. E sempre non a caso, Triestespresso nasce in una città dove il culto del caffè ha radici antiche. Sin dal 1709 Casa d’Austria decide di puntare sulla posizione strategica, naturale, logistica e centrale di Trieste, in Europa. Il porto è stato un importante punto di scambio per numerosi merci, tra cui anche il caffè. Da Venezia, il centro strategico passa a Trieste che diventa il primo porto per volumi di caffè, dell’Europa centrale. Questo ha portato ricchezza, benessere e conoscenza.

Il chicco arriva in porto e deve essere lavorato, trasformato. Nasce così il Distretto del Caffè di Trieste in una città in parte latina, in parte slava e in parte germanica. Tre momenti sociali diversi del consumo del caffè. Tre realtà diverse con un obiettivo comune. Con interessi comuni e sintonia che ha permesso di rendere grande il Distretto del Caffè.

Trieste è diventata un distretto industriale e commerciale importante tanto che moltissime sono le famiglie triestine legate a tale settore. Tutta la filiera del caffè viene qui rappresentata: dall’arrivo delle navi alla torrefazione che è la fase fondamentale alla riuscita di un buon espresso.

Abbiamo ricordato Trieste come capitale del caffè ma dobbiamo ricordare come ordinare un caffè a Trieste. In questa città di confine, anche il caffè ha un suo lessico.

Se entriamo in un bar non chiederemo un caffè espresso ma un nero. Non chiederemo un caffè con poca schiuma ma un gocciato. Non un caffè macchiato ma un capo. Non un cappuccino ma un caffelatte.  E se vogliamo un espresso nel bicchiere di vetro? Chiederemo un nero in B.

Espresso: perché si chiama così?

Perchè viene preparato al momento della sua richiesta. Velocemente. Espresso appunto.  E aggiungo italiano. Ma “espresso” è anche il participio passato del verbo “esprimere”: Non a caso, il caffè esprime un concetto, una storia che viene da lontano, esprime condivisione e appartenenza, esprime emozioni, esprime oltre al liquido nero, anche la crema.

Si perché in tanti paesi di parla di caffè: i turchi e i greci lo preparano nel l’Ibrik, i popoli del nord Europa lo bevono bollito, gli americani lo bevono molto filtrato, a noi italiani piace a casa nella moka o nella napoletana e al bar rigorosamente “espresso”. Anche se tutti questi procedimenti sono differenti tra di loro, la cosa che li accomuna è il principio di utilizzare acqua calda per estrarre dal caffè macinato, le sue migliori qualità.

Con circa 50 grani macinati finemente ed attraversati da acqua calda ad elevata pressione, si ottiene la bevanda tanto amata nel mondo. Perché le sensazioni che dà l’espresso non finiscono nell’istante della degustazione ma persistono lasciando in bocca un dolce sapore.

Ed è con quel dolce sapore di caffè che saluto Trieste. I nuvoloni sono spariti. E’ arrivato uno splendido sole.

 

 

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