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19 Giugno 2018, martedì

L’aceto balsamico di Modena: il mio racconto.

Un cielo bianco in lontananza lascia presagire un temporale in arrivo.Ovunque si coglie la macchia verde della pianura, l’odore di fieno bagnato, i filari delle viti di lambrusco, albana e trebbiano. Sono nella campagna modenese, ne riconosco il profumo che è un po’ quello di casa mia. Quello che accompagnava i miei pomeriggi nella campagna bolognese, a casa della nonna, con il profumo di tigli e di dalie e se alzavo lo sguardo, i filari di sangiovese che si intrecciavano per restare uniti. Come nelle più belle storie d’amore.

Le premesse sono buone. Perché una volta entrata in acetaia, vengo letteralmente rapita dai profumi. L’aceto e il mosto cotto si sentono ovunque, si mescolano sotto il naso, sotto le suole delle scarpe, sotto le mani, accarezzando le botti secolari.

Qui, l’acetaia d’Italia prende vita. Tutto, attorno a me, ricorda la civiltà contadina, i suoi colori, i ritmi lenti, l’amore per la terra, la penombra e il silenzio.

Nei suoi aromi, nelle sue densità e nel suo gusto, l’aceto balsamico concentra ed evoca la sua terra, la storia delle pianure grasse e fertili dell’Emilia, delle province di Modena e Reggio Emilia.

Che cosa ho imparato  sull’aceto balsamico di Modena Igp?

Che l’aceto balsamico si può produrre solo nelle province di Modena e Reggio Emilia.

Che ci vogliono i mosti provenienti dai sette vitigni tipici di queste due province: Lambrusco, Trebbiano, Sangiovese, Albana, Ancellotta, Fortana, Montuni.

Che il clima e l’ambiente influenzano in maniera determinante il processo di maturazione e invecchiamento.  E che per farlo buono l’aceto balsamico, ci vuole la sapienza millenaria.

Che può essere commercializzato in contenitori di vetro, legno, terracotta o ceramica.

Che sull’etichetta deve comparire la denominazione “Aceto Balsamico di Modena” seguita dalla dicitura “Indicazione geografica protetta”.

Che è vietato in etichetta qualunque altro aggettivo come “Extra”, “fine”, “riserva”, “superiore”, “classico”.

Che sono inoltre vietati i numeri che facciano riferimento al periodo di invecchiamento del prodotto.

Ma come si fa l’aceto balsamico di Modena?

Si parte dalla terra, dal mosto d’uva: Lambrusco, sangiovese, trebbiano, albana, ancellotta, fortana e montuni, i vitigni. Al mosto viene aggiunta un’aliquota di aceto vecchio di almeno 10 anni nonché aceto ottenuto per acetificazione di solo vino, nel 10% minimo.

Seguono l’acetificazione e l’affinamento e per finire l’invecchiamento.

Trascorsi i 60 giorni di affinamento in tini di legno, l’aceto balsamico di Modena può essere sottoposto ad un ulteriore periodo di invecchiamento. Se l’invecchiamento continua oltre i tre anni, il prodotto potrà essere definito “invecchiato” e non avrà nulla da invidiare al balsamico tradizionale.

L’aceto balsamico che conosciamo oggi, un tempo era impiegato come medicamento disinfettante dell’apparato digerente. Il 1289 segna la prima piccola svolta per l’aceto balsamico alla corte Estense a Modena e nel 1556 il volume “la Grassa” riporta la classificazione delle tipologie di balsamico e dei diversi modi di utilizzarlo.

Ma è nell’Ottocento che l’aceto balsamico viene conosciuto ed apprezzato nelle varie corti europee.

Oggi l’aceto balsamico di Modena Igp viene commercializzato in 120 paesi del mondo. E’ uno dei principali prodotti agroalimentari italiani nel mondo.

Tanta strada è stata fatta da quel lontano 1289.

Grazie anche al Consorzio che dal 1993 svolge l’attività di tutela della qualità, del controllo, della promozione, della valorizzazione  dell’Aceto balsamico di Modena Igp, aggregando numerose aziende produttrici.

L’aceto balsamico di Modena è figlio di una tradizione contadina, figlio dell’amore per il buon vivere, per l’attaccamento alla terra grassa e umida che lo ospita.

E il modo migliore per conoscere, capire la qualità di questo nettare è di immergersi nella campagna, tra i filari di uva, perdendosi tra le botti millenarie, respirando il mostro e l’aceto, ascoltando gli uomini che tramandano la saggezza.

Ed è quello che ho fatto io. Immergermi nella campagna emiliana, fare un viaggio nella penombra di un’acetaia per potervi raccontare qualcosa in più di questo meraviglioso prodotto italiano.

Spero di esserci riuscita.

Nel prossimo post, seguirà la degustazione e gli abbinamenti in tavola. Siete curiosi?

 

 

 

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