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5 Ottobre 2017, giovedì

Bocuse d’Or, la selezione italiana

“L’egemonia della cucina francese durerà fino al momento in cui gli chef italiani si renderanno conto dell’enorme patrimonio che hanno a disposizione, sia dal punto di vista delle materie prime sia dal punto di vista delle innumerevoli sfaccettature delle tradizioni”.

Chissà se queste parole di Paul Bocuse hanno toccato nel profondo l’animo italiano. Forse è arrivato il momento di credere che una competizione come il Bocuse d’Or siano in grado di affrontarla e di vincerla anche i nostri cuochi.

Forse per troppo tempo abbiamo dato tutto per scontato. Questa consapevolezza innata di essere i migliori, perché abbiamo quei prodotti che il mondo ci invidia. Ma un prodotto non basta per vincere una competizione di questa portata. E non basta neanche trasformarlo in una ricetta. Non basta portare la propria storia, la propria terra nel piatto per vincere. Servono, (e questo lo sanno bene gli scandinavi, gli inglesi, i francesi, gli americani che questa competizione l’hanno vinta negli anni), l’atteggiamento alla competizione, l’allenamento costante, l’alta precisione, il ripetersi dei gesti, il susseguirsi stressante delle azioni.

Il Bocuse d’Or rappresenta le Olimpiadi della grande cucina e va vissuta come una preparazione sportiva. Ma è anche vero che noi italiani abbiamo quell’emotiva memoria involontaria che torna all’improvviso ed esplode nella nostra cucina rendendola unica. Noi italiani abbiamo una ricchezza di tradizioni, di gesti, di ricordi legati al cibo, alla sensibilità di casa, di memoria contadina come nessun’altro al mondo.

Uniamo le due cose: l’allenamento sportivo alla tradizione gastronomica che appartiene ad ognuno di noi e al Bocuse d’Or arriviamo vincenti. Consapevoli, fiduciosi ed allenati. Restando noi stessi, identificandoci con un tipo di cucina. Quella che ci appartiene, quella italiana, quella regionale. Senza voler imitare gli altri. Senza voler essere quello che non siamo.

E arriviamoci insieme in finale, unendo le forze di ognuno di noi. I concorrenti, i commis, i coach, i giornalisti, gli storici dell’alimentazione, le aziende, le istituzioni. Come supporto. Per sostenere, per raccontare, per divulgare, per innalzare la qualità della cucina italiana nel mondo. Creando un progetto culinario alla base, con tecniche e materie prime nostre. Perché se è vero che siamo il paese dove si mangia meglio al mondo,  con una grande tradizione storica culinaria, se è vero che abbiamo prodotti di eccellenza che ci invidiano il tutto il mondo, dimostriamo anche come cuochi  che siamo capaci non solo a parole ma con i fatti di essere i migliori.

(Per la prima volta nella sua storia, l’evento itinerante del Bocuse d’Or Europa si svolgerà in Italia. In Piemonte per l’esattezza. A Torino, l’11 e il 12 giugno 2018 al Lingotto Fiere. Per poi arrivare alla finale mondiale del 17° Bocuse d’Or in programma nel gennaio 2019 a Lione.)

Ma prima di allora, in una fresca domenica di ottobre, nella città di Alba si sono svolte Le selezioni italiane del Bocuse  d’Or, che hanno rappresentato un nuovo approccio a quello che è il più importante e faticoso concorso per chef professionisti al mondo e in cui mai l’Italia ha saputo dimostrare il suo reale valore.  Ma le cose, come dicevo prima, stanno cambiando, la necessità di formare e di supportare una squadra italiana competitiva è ormai da tempo fortemente sentita all’interno del mondo gastronomico nazionale, ecco perché è stata creata proprio ad Alba, l’Accademia Bocuse d’Or Italia. Con l’obiettivo di formare e strutturare il percorso del candidato durante le difficili selezioni continentali fino alla finale di Lione.

A guidare l’Accademia come presidente, Enrico Crippa, cuoco esigente, pignolo, preciso, elegante, riservato, di origine brianzola, che nella sua cucina del ristorante Piazza Duomo ad Alba (3 stelle Michelin) coniuga insieme il sapere imparato dai maestri Marchesi e Tona, il rispetto e la sensibilità per le materie prime apprese da suo nonno e la calma, il metodo e la riservatezza imparate in Giappone.

Assieme a lui, Luciano Tona, cuoco, ristoratore, già direttore di Alma, consulente e grande maestro di cucina. Severo, esigente, pignolo eppure nessun suo allievo l’ha mai dimenticato. Perché lo chef Tona insegna ad avere un metodo, a rispettare le regole, i tempi, i criteri, i giudizi, ad essere ordinati e puliti, a rispettare gli altri e a farti innamorare immensamente della professione di cuoco.

I 4 concorrenti delle selezioni italiane, ad Alba, erano la trentina Roberta Zulian, chef presso il l’Alpen Suite hotel di Madonna di Campiglio, il piemontese Paolo Griffa, ex allievo di Davide Scabin  che oggi lavora presso il ristorante Serge Vieira a Chaudes-Aigues, Il siciliano  Giuseppe Raciti  del ristorante Zash-Country Boutique di Riposto (Catania) e il pugliese Martino Ruggieri, attualmente chef presso il tre stelle Pavillon Ledoyen di Parigi, dello chef Yannich Alleno.  Tutti e quattro assistiti da un solo commis, in 5 ore e 35 minuti hanno realizzato due piatti ognuno secondo una schema ben preciso.

La particolarità di questa selezione italiana è stata la forte regionalità che è emersa nei quattro piatti vegetariani e nei quattro di carne che i concorrenti hanno proposto alla giuria composta dai più famosi chef stellati italiani.

Eppure ad Alba, domenica scorsa si respirava un’aria carica di energia positiva. Osservare Martino, Paolo, Roberta, Giuseppe lavorare con metodo e rigore mi faceva sentire orgogliosa di questa Italia. Perché noi dobbiamo essere i primi a tifare per loro e a portare alto il nome della buona cucina di qualità.

Siamo la terra della cucina verace, passionale, emotiva, piena di gusto ma senza metodo e studio non si arriva in finale.

Dopo 6 ore, tutti uniti come una grande squadra, incantati dal lavoro leggiadro, dalla pulizia, dal metodo e della bellezza degli 8 piatti finali, Martino Ruggieri è stato  il vincitore della Selezione Italiana Bocuse d’Or.  Sarà lui il portabandiera della cucina italiana alle Selezioni Europee a Torino nel giugno del prossimo anno. A vincere anche il suo commis Curtis Clement Mulpas.

Grande, grande emozione in quella piazza Risorgimento, ad Alba, il 1 ottobre 2017.

Voglio andare in Europa e cucinare italiano”, dichiara in conferenza stampa, Martino.

Ha vinto la Puglia, ha vinto il Sud con i suoi sapori decisi, con la sua emotiva storia di conquiste, dagli Arabi ai Normanni per poi essere ricordata come la culla della Magna Grecia. Una babele di culture, origini sovrapposte di spezie e di vegetali, ma una lingua universale, quella dell’accoglienza.

“La sublimazione è nel viaggio, Puglia, Italia, Mondo.

Questo è un piatto al di là delle discriminazioni, che mette insieme un nord avanguardista e un sud carico di sfaccettature. L’uno al fianco dell’altro, con il desiderio di mantenere viva la tradizione, la storia, le origini, riuscendo a rendere accessibili le complessità nel piatto.

Il trullo
Simbolismo e sinestesie nella visione post moderna del trullo, l’umami dell’architettura pugliese. Una base nero cenere che richiama il misticismo del con, che ospita in questo piatto di carne, una materia che cambia stato e si fa tenue traccia ematica nelle salse e solide fondamenta nelle guarnizioni. Fragilità e certezze, bagaglio ingrato di ogni viaggiatore. Peperoni, fichi, polvere di pino, face, cipolle e rapa rossa, insomma la storia di Puglia racchiusa nel misticismo di un cerchio magico che riporta alle antiche pratiche della cottura sulla terracotta nella più autentica tradizione contadina.”

 

“Voglio riuscire a portare l’Italia più in alto possibile, perché l’Italia se lo merita”

Enrico Crippa

 

 

 

 

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